Chissà se Charlie Chaplin in versione ‘Tempi moderni’ avrebbe mai osato immaginare un meccanismo intelligente capace di trasformare il volto alienante della produzione industriale? Di certo, con la sua arguzia, sarebbe stato ben contento di esplorarne i segreti fino nel Dna, se qualcuno gli avesse suggerito che nel nuovo millennio questo sarebbe stato possibile.
Una nuova corrente di pensiero, quella della progettazione generativa, si fonda proprio sul concetto di un codice genetico portatore di tutte le informazioni della medesima specie di prodotti e capace di abbinare dati e feedback in maniera intelligente e propositiva. Si tratta di un cambio di paradigma dalla portata epocale.
Sì, caro Charlot, siamo entrati ufficialmente in una nuova era della produzione, e ti dirò di più: la portata rivoluzionaria di questa quarta rivoluzione industriale riguarda non solo l’evoluzione dell’intero processo produttivo, ma di come noi ci relazioneremo con tutto questo.
Futuro e innovazione sembrano strettamente connessi e, in effetti, lo sono. A una condizione però: che nel rapido progresso tecnologico non si trascurino i fattori umanistici e di sviluppo sostenibile per creare un mondo che sia a misura di tutti. Dove i nuovi scenari di vivibilità, benché di grande appeal, non siano frutto solo di audaci teorie, ma che rispondano a bisogni reali, in un’ottica di crescita equa e di benessere condiviso.
Strategie, produzioni e reti commerciali si sviluppano verso strutture aperte e interconnesse che necessitano di nuove abilità nelle relazioni, nella comunicazione e nella consapevolezza di processi partecipati. Cambiano le competenze a qualunque livello operativo e, con esse, le relazioni e le aspettative di risultato. Cosa ci aspetta?
Fino a dove può agire l’intelligenza delle macchine? Quali i nuovi modelli di leadership?
Come utilizzare la comunicazione in maniera efficace nel nuovo ambiente 4.0?
Quali saranno le nuove sfide dopo questa pandemia? Quanto e come saremo cambiati?
Una cosa è certa, il futuro è il tempo della realizzazione, un tempo a cui tendere con fiducia, affrontando passo dopo passo le esperienze, i dubbi e perfino le grandi incognite, man mano che emergono. Essere innovatori significa guardare avanti verso traguardi lontani, disposti anche a cambiare rotta, se necessario. Imparare, sperimentare, lasciare andare.
Il futuro è un partner con cui danzare in un ritmo e in un’empatia da creare istante per istante. Il progresso ipertecnologico che abbiamo tutti in mente, non può che evocare l’immagine di passi meccanici, programmati a monitor insieme a un robot dalle sembianze umanoidi. Tanto agile, eppure freddo e distante.
Quando parliamo di innovazione dunque, non possiamo non pensare all’evoluzione delle macchine e delle sofisticate formule matematiche che le muovono. E, prima ancora, della mente umana, tanto abile a progettare tutto questo.
Il futuro dunque non è solo una prevedibile sequenza di fatti a partire da ciò che accade oggi; il futuro è anche desiderabile e progettabile, nonostante tutto. Difficile pensarlo ora, nel momento critico della pandemia. Eppure, se alla rassegnazione o al senso di ineluttabilità sostituiamo un pensiero attivo considerando il benessere non un effetto, ma la causa di ogni nostra azione, diventiamo noi gli ingegneri del tempo imparando a vedere già realizzati non solo i più incredibili scenari futuristici, ma soprattutto la nostra vita.
Ci piace applicare quell’intenzione ingegnosa, tanto più potente quando si tratta ‘progettare’ insieme il nostro futuro.
Ho condotto numerosi workshop di formazione d’impresa con il desiderio di ispirare nuovi germogli di speranza, impegno e azione. Sono felice di aver potuto accompagnare diversi team aziendali alla scoperta dell’approccio sistemico, davvero rivelatore. Abbiamo lavorato nella natura e in cerchio portando freschezza, consapevolezza e determinazione a creare nuovi paradigmi di successo etico, partecipato e condiviso.
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