Silenzio, il nuovo ci parla

Che forma ha il silenzio? Ha i colori di una giornata uggiosa o il verde bello di un prato di maggio? Ha un suono? Sì, penso proprio di esserne certa. Il passare lontano di un aereo. Un antico pianto di solitudine. Un fiore che sboccia.

Inverni a casa dei nonni in Carinzia. Venivano giù sempre grandi nevicate; lo ricordo come se fosse adesso. Orme di bambina nella neve, in quel bianco a velo che diventava sempre più avvolgente. Boccate d’ossigeno. Ogni tanto, un merlo. E allora guardavo in su, verso il cavo della corrente che passava dietro agli alberi, nascosto da uno strato sempre più spesso e perfetto. Ecco, quel leggero ronzio sotto a una cascata di fiocchi opalescenti. Cos’è? Avevo chiesto a mio nonno mentre tirando la slitta camminavamo verso la piccola chiesa della frazione di Lammersdorf;
su, dietro casa.

Lui mi aveva spiegato qualcosa sulla differenza di potenziale che faceva correre l’energia in quel filo. Insomma, il suono della resistenza elettrica, il suono dell’Ohm. Per me il silenzio ha avuto sempre questa formula. Un lieve ronzio, una resistenza nel bianco, qualcosa di impercettibile e molto soffice. E poi, quella scivolata felice con la Rodel, la slitta di legno, rapida lungo la stradina e il nonno che mi copriva dall’aria fredda con il suo mantello di Loden.

Poi sono diventata grande, e nella vita quella metafora di resistenza bianca e gentile e la vibrazione dell’OM sono tornati nella consapevolezza del mio lungo cammino di ricerca interiore e spirituale. Nelle meditazioni, a evocare quello stato incontaminato, quella presenza lucida del sé in un silenzio insondabile.

Ti concentri sul respiro, profondamente. Davanti a quel vuoto che potrebbe atterrirti. Hai la sensazione di essere lì, sull’orlo di un precipizio ma ti affidi. Completamente. E ti lasci risucchiare in un volteggio leggero.

Ecco, adesso.

‘Osservare qualche istante di silenzio’. Non mi ero mai chiesta il significato di questo modo di dire. In fondo basterebbe tacere, pensavo, smettere di chiacchierare e fare rumore inutile. Sarebbe già magnifico in questa forma sociale che ci vuole sempre partecipi, attivi e sul pezzo a costo di alimentare un rumorio continuo e inutile.
Tante, troppe parole. A catalogare, confutare, esporre, protestare, ironizzare. O questo o quello. Buono o cattivo, amico o nemico. Ho letto tanti pensieri, articoli, polemiche, incoraggiamenti, articoli di tendenza e controtendenza.

“Com’è che sul virus non ho ancora detto la mia? – mi solleticava in questi giorni il mio piccolo ego mefitico – argomenti ne avrei, eccome!” E invece ho scelto il silenzio.

Ora è tempo. In una presenza attenta, resiliente e per nulla rassegnata, ho smesso di tentare di darmi delle spiegazioni. Tanto questa prova è infinitamente più grande di come la nostra mente eccelsa, ipercritica e intellettuale possa anche solo lontanamente immaginare.

Allora sì, osservo il silenzio. Per accogliere nuove ispirazioni, ascoltare il mio intuito. Tornare su quella slitta e urlare di gioia immaginando, come allora, un futuro pieno di bellissime cose al riparo di un abbraccio rassicurante.

Oggi, l’ultimo passo prima di un’attonita battuta d’arresto. Si taccia il chiacchiericcio della mente. Mi alzo in piedi e dal centro infinito e luminoso del mio silenzio onoro la trasformazione del vecchio mondo. Nulla sarà più come prima e non avrò più bisogno di sentirmi esclusa.

Mi accolgo con amore e poche, sussurrate parole: benvenuta nel nuovo!

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Sì desidero fare questa esperienza.